Manicomi

Ci sono stati anni, molti in verità, in cui nei manicomi, non entravano solo malati affetti da disturbi mentali, ma persone sane, la cui colpa era solo quella di rappresentare un pericolo per la società, un rischio, un semplice imbarazzo. In quel periodo finirono negli ospedali psichiatrici italiani senza tettp, sbandati e prncipalmente oppositori politici. Il manicomio, greco manìa (follia) e komèo (curare), divenne il migliore e più pratico strumento per “togliere” di mezzo persone scomode. A permettere tutto fu una specifica legge, la n. 36 del 14 febbraio 1904, dal titolo “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati“, un provvedimento, in verità, molto atteso, specie dopo l’attenzione che i giornali e non solo, avevano tutte le condizioni riservate di alcune strutture psichiatriche nazionali.

Nel 1902 i ricoverati presso i manicomi italiani erano 36.845, con notevole incremento rispetto ai 12.913 del 1875, crescita che proseguì senza sosta.

Uno dei passi più importanti ma anche più discussi di quella legge era quello relativo alla possibilità prevista per l’autorità locale di pubblica sicurezza di ordinare, seppur in via provvisoria, il ricovero presso un manicomio di qualsiasi persone, sulla base di due requisiti: una certificazione medica e il presupposto d’urgenza. Insomma una regola facilmente applicata che offriva alle forze di polizia di intervenire nei confronti di quei soggetti ritenuti “fastidiosi” l’attivazione di tutti quei meccanismi procedurali e di garanzia previsti dai vigenti codici penali.

Il maniaco diventava il succedaneo del carcere o del semplice ospedale e poco importava se la persona che vi entrava non fosse realmente un malato di mente, a certificare la necessità del ricovero vi era la santa alleanza fra medicina e polizia. Questa anomalia in verità non solo italiana, anche in altri paesi si finiva nei manicomi per svariati motivi, fra questi anche l’omosessualità, negli anni del fascismo si strutturò ancora di più.

Marasma

Marasma è il titolo di un documentario inedito che mette in luce un passato dell’Italia pìù sconosciuto:oggi ancora opaco e poco conosciuto: quello dei bambini e donne rinchiusi in manicomio prima della rivoluzionaria Legge Basaglia del 1978.

Vedere quello che è toccato a migliaia di bambini all’epoca dei manicomi, oltre a farci ancora sdegnare per quelle violenze, ci aiuta a capire cosa significasse escludere chi non rientrava in una norma sociale e sottoporlo a misure punitive, a un tragico abbandono sistematico e istituzionalizzato, a qualunque età. Il tempo passato dalle vicende raccontate in Marasma non può farci dimenticare che, ancora oggi, i bambini possono essere invisibili, diagnosticati prima che compresi, trattati con farmaci e non ascoltati e rispettati. I bambini del manicomio di allora sono diventati adulti e hanno combattuto per tutta la vita con le ferite subite e la sofferenza muta a cui sono stati condannati. Una lezione che non dobbiamo dimenticare perché la salute mentale è l’esito di un percorso evolutivo che parte dall’infanzia e fin da allora va presa a cuore.

Nei padiglioni a loro riservati subivano elettroshock ai genitali se facevano la pipì a letto, erano legati per ore e giorni interi alle loro brande, seviziati e abusati sessualmente. Con l’unica colpa di essere caratteriali, in qualche caso disabili, sempre e comunque poveri.

Una galleria degli orrori troppo rapidamente archiviata.

Legge Basaglia n.180

Accertamenti e trattamenti sanitati volontari e obbligatori, disponendo la chiusura dei manicomi ha segnato una svolta nel mondo dell’assistenza ai pazienti psichiatrici, una censura con il passato dalla quale non si può che andare avanti sulla strada della dignità. Considerata dai critici una legge incompleta ed incompiuta, la legge 180 fu una legge quadro che, effettivamente, presentava il limite della mancata definizione dei servizi e presidi alternativi all’Ospedale Psichiatrivo e delle conseguenti linee guida. Tra le critiche più aspre, ci fu quella dell’aver lasciato che i pazienti psichiatrici vennero scaricati sulle famiglie.

Ci furono dei punti cruciali e sono:

  • Eliminazione del concetto di pericolosità per sé e gli altri: trattamento sanitario in psichiatria basato sul diritto della persona alla cura e alla salute.
  • Rispetto dei diritti umani (ad esempio, dirirtto di comunicare e dirirtto di voto)
  • Disposizione di chiusura degli OP su tutto il territorio nazionale
  • Costruzione di strutture alternative al manicomio
  • Servizi psichiatrici territoriali come fulcro dell’assistenza psichiatrica
  • Istituto dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc) all’interno degli ospedali generali per il trattamento delle acuzie
  • Trattamento sanitario di norma volontario: prevenzione, cura e riabilitazione
  • Interventi terapeutici urgenti in caso di rifiuto di cure e mancanze di idonee condizioni per il trattamento extra-ospedaliero: Trattamento sanitario obbligatorio (TSO)
  • Introduzione del concetto di correlazione funzionale tra Spdc e strutture di ricovero e servizi territoriali, sulla scia del principio di continuità terapeutica.